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Archive for luglio 2014

Joshua

Joshua è il mio nome… come il suo; sì, di chi ha cambiato la mia vita, e non solo fisicamente.

Abitavo a Cafarnao, ero contadino, come mio padre e i miei fratelli. Avevo, allora, venti anni; Sara mi filava, era felice di stare con me, e io con lei; facevamo progetti.

Quel brutto giorno dovevamo buttar giù un albero, un fico. Lo avevamo legato, mio fratello aveva cominciato a segarlo. Io, non so come, non mi intesi con lui, rimasi sotto l’albero mentre veniva giù, il tronco mi spezzò la schiena. I miei fratelli gridarono, accorsero tutti, mi liberarono, ma troppo tardi: rimasi paralizzato dalla vita in giù: paralizzato, e impotente. Maledissi Dio e il mio destino, mi chiusi nel silenzio della mia casa, fra una sedia comoda e un lettuccio, come un vecchio decrepito. Sara mi veniva a trovare, ma non era più la stessa cosa.

Un giorno, mia madre entrò in casa e mi disse che un profeta che passava nei paraggi faceva miracoli: scacciava i demoni, guariva i lebbrosi. La mandai a quel paese, le dissi di lasciarmi in pace: non credevo più in niente, la vita mi era nemica, avrei preferito morire. Mia madre, per tutta risposta, scoppiò in pianto, e mi supplicò di andarci. “E come”, dissi con sarcasmo, “ in carrozza?”. “Ti porteranno i tuoi fratelli, sul lettuccio, fino a lui. Te ne prego, fai questo tentativo!” mi disse. Commosso, pensai che non potevo negarle questa speranza, anche se per me, già in partenza, sarebbe stata una ennesima disillusione, dopo le innumerevoli, inutili, visite di medici e di guaritori venuti da tutte le parti.

*****

“Torniamo indietro” gridavo quando la folla si faceva più fitta e i miei fratelli si facevano largo con la mia barella facendomi sobbalzare violentemente. Ma i miei fratelli non se ne davano per inteso. Temevano la reazione di mamma se fossimo tornati a casa, anche se erano tutti consapevoli, tranne Isaac, della inutilità dell’impresa. Isaac era quello che involontariamente aveva causato la mia menomazione, e viveva nel continuo senso di colpa per l’accaduto. Ma aveva fede, come mia madre, in questo fantomatico profeta: Joshua. Aveva raccolto notizie, me ne parlava continuamente. E sperava, anche lui, in un miracolo.

Di solito, mi aveva riferito Isaac, il profeta parlava per le strade, all’aperto; ma pareva fosse fatto apposta, questa volta era chiuso nella casa di un suo amico, con una ressa incontenibile fin sulla porta. Era impossibile entrarci. “Torniamo indietro” gridai una seconda volta, con voce ancora più forte, per superare quella della gente che accorreva verso il luogo dove stava. Ma Isaac fu irremovibile: “Non ce ne andremo di qui finchè non lo avremo incontrato”. Corse avanti, esplorò il retro della casa. “Qui non c’è gente”, disse tornando, “anzi c’è una scala con cui possiamo issare il lettuccio sul tetto di paglia, scoperchiarlo e calarlo giù dentro la casa!”. “Mi vuoi fare paralizzare pure il collo e le braccia?” lo apostrofai ironico, anzi cattivo. Lui si intristì, e tacque. Ma già gli altri fratelli mi stavano trasportando su per la scala impervia. Tacqui anch’io, rassegnato.

Non vi descrivo le facce di quelli che si trovavano dentro, al vedere il tetto scoperchiato e il lettuccio ove ero disteso che procedeva a balzi nello scendere. Il padrone di casa si mise a sbraitare intimandoci di tornare da dove eravamo venuti. Ma fu pesantemente redarguito da quell’uomo (sì, il profeta), che fece invece cenno ai miei fratelli di continuare in quell’impresa temeraria. Lo guardai, era contemporaneamente dolce e autorevole; mi diede subito l’impressione di una persona “diversa”. Fece fare spazio per calare il mio giaciglio a terra, fra tutta quella gente. Finalmente, lui ed io, faccia a faccia.

“Ti sono rimessi i tuoi peccati” mi gridò a gran voce. “Ecco il trucco”, pensai subito: con una bella “messa in scena” spirituale fa la sua figura, assolve mie presunte colpe, che peraltro non conosce, e riceve l’applauso delirante della folla. Nell’agitarmi per questi pensieri, sentii un dolore lancinante alla schiena, che non avevo più da quando mi era caduto il tronco addosso.

Anziché applausi deliranti, sentii invece frasi a bassa voce di disapprovazione, di rivolta, di scandalo. Uno che era vicino a me mormorò che era un bestemmiatore: Dio solo poteva assolvere i peccati. Io, col mio dolore alla schiena sempre più forte, mi sentii oggetto di una disputa dotta che non mi riguardava.

Riprese: -Cosa è più facile dire: “Ti sono rimessi i tuoi peccati” o “Alzati e cammina?”-. Era andato giù duro, il profeta. E diceva proprio quello che pensavo: è molto più facile dire “ti sono rimessi i tuoi peccati”, perchè non se ne possono verificare sensibilmente gli effetti. Era stato onesto, non poteva guarirmi, ma lo dichiarava; e si era anche esposto all’accusa di bestemmia, per me. Cominciai a guardare, più che intorno a me, dentro di me. Cominciai a vedere qualcosa che prima non avevo visto, nella mia vita: la possibilità di cominciare daccapo, anche paralitico, anche impotente. Cominciai a credere che “ti sono rimessi i tuoi peccati” poteva anche essersi realizzato, in me.

Ero ancora così preso dai miei pensieri, che udii a malapena le sue successive parole: “E poiché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati, alzati, prendi il tuo lettuccio, e cammina!”, proclamò. Tre cose contemporaneamente accaddero: cessò il dolore alla schiena, mi si muovevano le dita dei piedi, mio fratello Isaac si inginocchiò e scoppiò in lacrime. Mi sembrò quasi consequenziale alzarmi e camminare; mi sembrò una piuma il lettuccio di paglia su cui ero stato adagiato per mesi, lo presi sotto braccio senza fatica.

Guadagnai la porta, tutti si scostavano per farmi passare. Mi voltai ancora indietro verso chi, sgombrandomi la mente e il cuore, mi aveva sciolto le gambe facendomi camminare, spedito, verso una nuova vita.

Prima di tornare a casa, rimettemmo a posto il tetto; almeno, il padrone di casa non avrebbe avuto più da ridire.

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